martedì 4 giugno 2024

Prima Guerra Mondiale: il salvataggio dell’esercito serbo

Cefalunews, 29 febbraio 2016

Cento anni fa veniva consumata una delle più importanti e poco note operazioni umanitarie della storia. Un ingente numero di soldati serbi, furono soccorsi dalle forze di cooperazione internazionale, Francia, Gran Bretagna, e Italia. 

Il nostro paese ebbe un ruolo fondamentale, soprattutto attraverso l’utilizzo della sua flotta navale. In circa due mesi dal dicembre del 1915 al 29 febbraio 1916, la Regia Marina utilizzando oltre un centinaio di navi, facendo la spola tra le due coste adriatiche, portò in salvo militari serbi con le loro salmerie, migliaia di feriti, ammalati, profughi civili e circa ventimila prigionieri austriaci. 

In realtà, l’esercito serbo incalzato dalle forze degli imperi centrali fu costretto a ritirarsi attraverso le montagne albanesi per giungere infine sulla costiera adriatica dell’Albania. 

Abbiamo chiesto allo storico navale Virginio Trucco (1) di parlarci di quest’ampia operazione umanitaria che vide la Regia Marina Militare Italiana, compiere una grande impresa, oggi paragonata dagli storici, come l’evacuazione via mare dal porto di Dunkerque, e conosciuta anche col nome di Operazione Dynamo, che consentì nel 1940 il salvataggio di un notevole numero di soldati anglo-francesi accerchiati dalla Wehrmacht nell’omonima sacca.

«Dal 22 novembre 1915 al 5 aprile 1916, la Regia Marina fu impiegata nella più grande operazione navale del primo conflitto, l’evacuazione dell’esercito serbo e Montenegrino in rotta davanti agli austriaci supportati dai bulgari e bande irregolari di albanesi. Dopo l’iniziale offensiva austriaca, stroncata dalla controffensiva serba del 1914, l’esercito serbo rimase a lungo inattivo, anche nel maggio dell’anno successivo, in concomitanza dell’entrata in guerra dell’Italia, i serbi non impegnarono gli austriaci sul loro fronte, sollevando le proteste del governo italiano. 

Nell’ottobre del 1915 un gruppo di armate austro-germaniche, appoggiate dai bulgari, entrati in guerra per l’occasione, sferrò una grande offensiva che li portò ad occupare Belgrado, e in pochi giorni inflissero ai serbi una disfatta irreparabile, provocando a fine novembre la rotta dell’esercito di re Pietro. L’esercito ripiegava disordinatamente verso l’Adriatico, assieme a 50.000 prigionieri austriaci accompagnati da masse di profughi civili. 

La Regia Marina già impegnata a rifornire il Montenegro, intraprese l’onerosa missione di provvedere ad aiutare anche l’esercito serbo. Le condizioni di questa missione, non erano agevoli, a causa degli attacchi della flotta austriaca, che aveva le sue basi a breve distanza dai porti interessati, attacchi che provocarono la perdita di piroscafi e velieri adibiti al trasporto dei rifornimenti, e quindi fu necessario istituire servizi di scorta. 

A causa della scarsità di torpediniere e caccia, impegnati anche nei pattugliamenti costieri e nel blocco del Canale d’Otranto, fu richiesto agli alleati di inviare del naviglio leggero, solo a dicembre inoltrato giunsero 12 cacciatorpediniere francesi. Intanto, l’esercito italiano, al fine di alleggerire la pressione sui serbi, effettuò una serie di offensive sul Carso ed inviò un contingente di circa 100.000 uomini in Albania a fine di garantire il controllo delle zone attorno a Valona e Durazzo. 

Il 16 dicembre il governo serbo lanciò una drammatica richiesta di aiuto agli Alleati. Le truppe erano in fuga e per evitare la capitolazione occorreva evacuare le truppe via mare da San Giovanni di Medua e Durazzo. Le proporzioni del disastro si facevano sempre maggiori, i profughi arrivavano ininterrottamente nei due porti, in migliaia iniziarono ad imbarcarsi sulle navi che ripartivano dopo aver scaricato i rifornimenti per l’esercito serbo. 

Le concrete preoccupazioni di ordine sanitario, fecero si che fossero destinati all’evacuazione i piroscafi Assiria e Città di Bari, saltuariamente supportati da altri piroscafi italiani e francesi. I profughi venivano sbarcati a Lipari, Favignana e Ponza, dove erano posti in quarantena per poi essere avviati verso altre destinazioni, soprattutto in Francia, mentre in Puglia furono accolti i malati e feriti, trasportati dalle navi ospedale della Regia Marina. In questo contesto, si inserisce l’episodio della Palasciano, la nave era il piroscafo tedesco Konig Albert, internato allo scoppio delle ostilità nel 1914, quindi noleggiato dalla Regia Marina e ribattezzato Palasciano. 

La nave fu fermata da un sommergibile austriaco, che sequestrò a bordo il comandante, ed in barba alle leggi internazionali, condotta a Cattaro (base navale austriaca) dove dopo tre giorni di ispezioni venne rilasciata. A metà dicembre iniziarono ad arrivare a Valona i prigionieri austriaci, che per le precarie condizioni dei trasferimenti si erano ridotti a 23.000, fra questi, iniziarono a manifestarsi i sintomi del colera. Perciò fu deciso il loro trasferimento all’Asinara. 

Il primo scaglione di prigionieri salpò da Valona il 16 dicembre, sui piroscafi Dante Alighieri e America, che furono scortati per un tratto della navigazione dal cacciatorpediniere Francesco Nullo. Per completare il loro trasferimento occorse un mese e mezzo, dovendosi aggiungere ai tempi di navigazione anche quelli per le soste per la disinfezione dei piroscafi. 1.400 prigionieri austriaci morirono prima di giungere a destinazione, sui piroscafi Re Vittorio e Duca di Genova. Nonostante gli sforzi del personale sanitario, i decessi raggiungessero il 25% dei trasportati. Alla fine di gennaio tutti i prigionieri austriaci erano giunti a destinazione, in tutto per il loro trasferimento erano state necessarie 15 traversate. 

Il 2 di gennaio il comandante della Seconda Squadra, Ammiraglio Emanuele Cutinelli Rendina, emanò le istruzioni per il trasporto dei soldati serbi a Biserta, visti gli scarsi fondali e le opere portuali di San Giovanni di Medua e Durazzo, dovevano essere imbarcati su piccoli piroscafi, che li avrebbero condotti a Valona, dove sarebbero stati trasbordati su piroscafi più grandi che li avrebbero portati a destinazione. 

Il 6 di gennaio l’ammiraglio, vista la possibilità di un’imminente azione austriaca contro il Montenegro, la scarsa capacità dei porti utilizzati, e la continua minaccia delle unità nemiche di stanza nel porto di Cattaro, propose di far giungere a Valona gli uomini e i materiali via terra e di continuare ad usare i porti per l’invio di rifornimenti e l’evacuazione dei feriti, sino a che il porto fosse rimasto in mano dell’Intesa. 

Il giorno successivo, l’Austria attaccò il Montenegro, Re Pietro di Serbia e Nicola I° del Montenegro si apprestarono a fuggire con le relative corti e governi. Il 15 da Medua si imbarcarono sul Città di Bari i componenti del governo Serbo assieme alla Regina e alle Principesse del Montenegro, il 21 partì Re Nicola I° con il suo Governo, il Corpo Diplomatico. Il porto di Medua fu agibile sino al gennaio, fino a quella data, nonostante le carenze delle strutture portuali partirono migliaia di soldati, profughi e materiale bellico. 

La situazione di Durazzo non era migliore, qui le banchine non avevano le potenzialità necessarie alle dimensioni dell’esodo e non erano disponibili abbastanza imbarcazioni per trasferire gli uomini dai moli alle navi alla fonda nella rada. Al fine di abbreviare i tempi di navigazione si dispose di trasferire i militari a Corfù anziché Biserta, ma il ritardo principale era sempre dovuto alle operazioni di pulizia e disinfezione delle navi. 

Il Ministero della Marina italiana aveva programmato la movimentazione da Durazzo a Valona di 3000/4000 soldati al giorno, media che grazie alla collaborazione delle flotte alleate fu superata del 25%. Nel trasferimento furono impiegati anche gli incrociatori ausiliari classe Città (piroscafi requisiti alle F.S. e trasformati in incrociatori ausiliari). 

Dal 10 di febbraio gli Alleati iniziarono a distogliere le loro navi dalle operazioni, mentre la Marina Italiana era intenzionata a mantenere Durazzo fino a quando era possibile. Il 23 di febbraio si conclusero le partenze anche da Durazzo, dopo il trasferimento di più di 100.000 uomini e relativi materiali. Dopo gli scontri fra le truppe austriache ed italiane, il 24 si decise di evacuare la città di Durazzo. Il 25 l’artiglieria austriaca iniziò a bombardare Durazzo, subito controbattuta dai pezzi delle unità italiane presenti in rada. 

La notte fra il 25-26 febbraio, iniziò l’imbarco dei soldati italiani, che lasciarono il porto verso la mezzanotte, giungendo a Valona la mattina seguente. Intanto a Valona, erano iniziate le operazioni per l’evacuazione della fanteria serba, il problema più grande fu l’imbarco dei 10.000 uomini della cavalleria con i rispettivi 16.500 cavalli che richiesero apposite navi da trasporto (4 italiane, due inglesi ed una francese), le operazioni furono rallentate anche dalle cattive condizioni meteo. 

Il 5 aprile 1916 si concludevano le operazioni di salvataggio dell’esercito serbo, senza che questo perdesse un solo uomo, tanto ché dopo la riorganizzazione delle truppe a Corfù, queste furono rimpiegate sul fronte di Sebanico. 

In tutto, nelle operazioni furono impiegati: 45 piroscafi italiani per un totale di 440 viaggi, 25 francesi per un totale di 101 viaggi ed 11 inglesi per un totale di 19 viaggi, si persero 4 piroscafi italiani e 2 francesi a causa di mine. Per l’evacuazione dei feriti, furono impiegate 5 navi ospedale e 2 navi ambulanza italiane, 1 francese e una britannica. 

L’impegno delle marine militari dell’Intesa non fu da meno, per la scorta ai convogli e missioni di protezione contro possibili incursioni della marina austriaca, furono svolte 1.159 missioni, di cui 584 condotte dalla Regia Marina, 340 dalla Marine Nationale e 235 dalla Royal Navy. Queste operazioni portarono alla perdita di un cacciatorpediniere ed un dragamine italiani, un cacciatorpediniere e 2 sommergibili francesi e 5 dragamine britannici, per contro la marina austriaca perse 2 cacciatorpediniere e 5 sommergibili. 

Da rilevare che sul piano politico, si creò un discreto risentimento fra il governo italiano e i governi francese e russo. Questi ultimi investitesi protettori della Serbia e favorevoli al termine del conflitto di un’identità nazionale definita Grande Serbia. 

Sia la Francia e sia la Russia tentarono di sminuire il ruolo dell’Italia nelle operazioni di salvataggio, tanto da suscitare proteste ufficiali da parte del governo Sonnino. 

Per contro sia l’Inghilterra che gli ammiragli francesi riconobbero che il pieno successo dell’operazione era da attribuirsi all’Italia e alla sua Marina».

(1) Virginio Trucco è nato a Roma, ha frequentato l’Istituto Tecnico Nautico “Marcantonio Colonna”, conseguendo il Diploma di Aspirante al comando di navi della Marina Mercantile. Nel 1979, frequenta il corso AUC (Allievo Ufficiale di Complemento) presso l’Accademia Navale di Livorno, prestando servizio come Ufficiale dal 1979 al 1981. Dal 1981 è dipendente di Trenitalia S.p.A. Lo storico navale Virginio Trucco è membro dell’Associazione Culturale BETASOM (www.betasom.it).

Foto di copertina: Soldati serbi raggiungono la costa adriatica, da Wikipedia.

Foto a corredo dell'articolo: 

La ritirata dei soldati serbi attraverso le montagne albanesi.

La nave ospedale Ferdinando Palasciano sbarca feriti su un treno ospedale.

L’arrivo dei Serbi a Brindisi sulla regia nave italiana Bixio da: https://www.guerra-allorizzonte.it/Orizzonte/la-spedizione-in-albania.html (www.guerraallorizzonte.it).

Giuseppe Longo

https://cefalunews.org/

Nessun commento:

Posta un commento