mercoledì 5 giugno 2024

I campi dei prigionieri austriaci in Italia

Cefalunews, 25 nov 2014

Nel corso della Prima Guerra Mondiale numerosi centri della Sicilia ospitarono gli esuli veneti e friulani fuggiti dai territori occupati. 

Tuttavia, nella nostra Isola oltre ai profughi, esistettero anche i centri di concentramento e smistamento che accolsero i prigionieri di guerra austro-ungarici catturati nelle varie battaglie dell’Isonzo. 

Alla nostra domanda, riguardo ai campi di concentramento austriaci in Italia, ecco cosa ci ha risposto il Generale di Brigata Mario Piraino.

«In occasione dell’approssimarsi delle celebrazioni per il Centenario della Grande Guerra, in Sicilia, da più parti, ci si ricorda che durante il periodo della Prima Guerra Mondiale, il territorio isolano (geograficamente lontano dai campi di battaglia), dove i figli di Sicilia andarono a combattere e a morire per il bene della Patria, di contro fu interessato come luogo di sfollamento e di accoglienza degli esuli italiani scappati dal Veneto e dal Friuli; e cioè dai territori occupati dal nemico e/o dalle zone devastate, situate nelle immediate vicinanze della linea di resistenza ad oltranza del Piave. 

Resistere, resistere, resistere, fu il grido di battaglia coniato dal grande politico siciliano Vittorio Emanuele Orlando che dopo la disfatta di Caporetto, da imputare (come sottolinearono anche i rappresentanti delle nazioni nostre alleate), all’incapacità strategica di taluni Generali, più che al comportamento dei nostri valorosi soldati. 

In realtà gli alti Ufficiali provvidero solamente a far eseguire un attacco massiccio nelle retrovie nemiche e di dare solamente disposizioni in merito, senza pensare a fare fortificare le linee difensive. Vittorio Emanuele Orlando, prese le redini del governo italiano e avviò la riscossa italiana. 

Ad aiutarlo oltre ai ragazzi del ’99, mobilitati e inviati al fronte, ci furono anche gli industriali, questi ultimi preoccupati per le loro fabbriche poiché minacciate dal nemico. 

In realtà aprirono i loro arsenali e fornirono all’esercito italiano il materiale bellico di cui aveva bisogno, per sopperire alle perdite di Caporetto. Pertanto, furono consegnati cannoni, materiali e mezzi fino adesso centellinati, le cui commesse, prima di Capretto erano onorate, talvolta, dopo che era avvenuto, il pagamento anticipato, in oro. 

Ovviamente, un ruolo molto importante per le sorti del conflitto, si ebbe con l’entrata in guerra dell’America che mise in campo la sua enorme potenza industriale e la straordinaria macchina logistica. 

Gli americani mobilitarono milioni di uomini, (tra cui molti immigrati siciliani), che produssero, spostarono in Europa e fornirono un gran quantitativo di armamenti, materiali bellici, truppe fresche e mezzi a elevata tecnologia che determinarono la vittoria dei suoi alleati, tra cui l’Italia. 

In questo scenario, s’inquadra la storia dei prigionieri di guerra austro-ungarici presenti in Sicilia, che catturati in seguito nelle varie battaglie dell’Isonzo e sui monti tanto cari ai nostri ricordi; furono deportati nei campi di concentramento siciliani, ritenuti sicuri poiché distanti migliaia di chilometri dal fronte e da cui era impossibile fuggire. 

Tali luoghi sono meglio indicati nella successiva tabella n. 1 compilata con i dati resi pubblici e disponibili dagli archivi dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, magistralmente condotto dal Colonnello palermitano Antonino Zarcone. 

Un ulteriore supporto alla ricerca è stato fornito dallo studioso veneziano Alessandro Tortato che ha scritto il prezioso saggio: “La prigionia di Guerra in Italia”, pubblicato da Mursia, 2004, nel quale si analizzano le vicende relative “all’utilizzo dei prigionieri austriaci in Italia durante il primo conflitto mondiale”. 

Questo studioso ha sottolineato come la questione si ponesse già sin dall’estate del 1915, ma soltanto nel maggio 1916 (con una circolare inviata dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio ai Prefetti), i prigionieri di truppa dell’Impero austriaco iniziarono a essere impegnati e divisi per nazionalità, in lavori agricoli e industriali, da eseguire all’esterno dei luoghi di prigionia. 

L’'impiego dei prigionieri di guerra in lavori agricoli e industriali, prevedeva l’utilizzazione degli stessi, in gruppi non inferiori alle cento unità, sotto la vigilanza di un Ufficiale e ventiquattro soldati. 

A chiedere di impiegare i prigionieri di guerra furono per primi i proprietari terrieri, i quali si avvalsero degli imprigionati per i lavori di mietitura del grano; si formarono così le prime 32 compagnie, ciascuna costituita, da duecento prigionieri. 

Le domande per l’impiego degli imprigionati in agricoltura, venivano richieste dai singoli possidenti terrieri. Talvolta erano vagliate dalle Commissioni Provinciali di Agricoltura e successivamente pervenivano alla Commissione per i Prigionieri di Guerra. Ma, nel documento che si rende noto attraverso quest’articolo, possiamo notare, che la richiesta fu fatta da un importante personaggio pubblico, l’On. Aurelio Drago Deputato del Regio Parlamento. 

Infatti, invece di rispettare la solita trafila, egli scriveva direttamente al Generale Comandante del territorio (XII° nel caso della Sicilia), e da questo aveva risposta diretta. Con l'inizio del 1917 aumentarono, in tutto il Paese, le domande d’impiego dei prigionieri, la cui forza lavoro impiegata ammonta a 80mila uomini che furono suddivisi in 2000 distaccamenti. 

Nel novembre del 1916 la Commissione per i Prigionieri di Guerra diede le direttive per disciplinare in modo uniforme e per tutto il territorio nazionale, l’organizzazione all’interno dei Campi di prigionia. 

Alla luce di quanto stabilito dalla Convenzione dell’Aia del 1907 si prevedeva l’utilizzo dei militari di truppa prigionieri, sia nei lavori pubblici sia privati. 

L’orario di lavoro non poteva superare le 10 ore giornaliere e i prigionieri non potevano essere impiegati durante i giorni festivi. Per il lavoro svolto, il salario doveva corrispondere a quello percepito dagli operai civili che svolgevano nello stesso luogo la stessa mansione. 

Nel marzo 1917 fu resa obbligatoria per i prigionieri l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie. I singoli proprietari o imprenditori che li impiegarono, dovettero stipulare un contratto presso l’apposita Cassa Nazionale. Nell’aprile del 1918 il Generale Spingardi, responsabile di questo delicato settore, indicava al Presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando in 130.000 il numero di prigionieri che lavoravano sul territorio nazionale di cui 60.000 impiegati nei lavori agricoli. 

Intanto, la vittoria sul campo e la successiva firma dell’armistizio a Villa Giusti, avevano determinato nel novembre 1918 la cattura di 300.000 nuovi prigionieri dell’esercito austro-ungarico in ritirata. Secondo i dati che ci ripromettiamo di consolidare con ulteriore adeguata documentazione, in prima analisi, a quel tempo, si trovavano in Sicilia 9.226 prigionieri austro-ungarici suddivisi in 553 ufficiali, 26 cadetti e 8.650 militari di truppa. 

Di seguito, nella tabella n. 1, l’elenco delle località siciliane gestite dal XII° Corpo d’Armata di Palermo, che furono sede di campi di concentramento e/o luoghi di detenzione e lavoro per i prigionieri di guerra austro-ungarici. 

A Termini Imerese, vi furono anche i soldati bosniaci. Dati ricavati dall’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, fondo «Carteggio sussidiario 1" G.M.», di cui si parla anche nelle pagine 32 e 263, del libro: “La prigionia di guerra in Italia: 1915-1919” del brillante ricercatore veneziano Alessandro Tortato, Mursia, 2004 - 285 pagine.

…. “Il ministero della Guerra, aveva poi disposto di destinare 270 Ufficiali a Nocera Umbra, 200 nell’ex cotonificio Bagicalupo di Cicagna, 120 nell'ex convento S. Maria in Termini Imerese, 100 nel castello di Casalborgone (Trento) e 80 a Villa Paterno di Vallombrosa. Inoltre si stava predisponendo per accogliere altri ufficiali prigionieri la caserma Botta di Cefalù. ... i delegati di Germania, Austria, Ungheria, Romania, Russia, Turchia, (in A.U.S.S.M.E., fondo «Carteggio sussidiario 1" G.M.», repertorio F-3, race. 362 ...

Per chi non lo sapesse, il Convento (dei frati francescani) di “Santa Maria di Gesù” è l’attuale Convento della Gancia, già sede dell’ex Caserma dei Carabinieri Antonino Alessi. 

La presenza dei Frati Minori a Termini Imerese è molto antica. Nel 1472 fu edificato un convento e una chiesa fuori le mura della città, per opera degli architetti Pietro e Giacomo Bruno. Non si hanno notizie riguardanti l’edificio fino al 1747, quando entrambe le strutture furono ingrandite. 

Nel 1866, per ripianare i debiti dello Stato contratti con la Terza Guerra d’Indipendenza, in applicazione della Legge n. 3036 del 7 luglio 1866 (con cui fu negato il riconoscimento e di conseguenza la capacità patrimoniale a tutti gli ordini, le corporazioni, congregazioni religiose regolari, ai conservatori e ai ritiri che comportassero la vita in comune e avessero carattere ecclesiastico) i beni di proprietà di tali istituti furono soppressi e incamerati dal demanio statale. 

Di conseguenza il convento fu tolto ai frati e incamerato dal Demanio che lo adibì a caserma, allo stesso modo anche la chiesa che fu affidata al Municipio. Solo nel 1903, l’edificio chiesastico fu restituito ai frati francescani».

Foto di copertina: Prigionieri austro-ungarici scortati dai nostri Alpini, per gentile concessione di Mario Piraino.

Foto a corredo dell'articolo:

La caserma di Terrasini dove erano detenuti i prigionieri di guerra. Foto per gentile concessione di Mario Piraino.

Tabella 1 Prigionieri Austroungarici in Sicilia gestiti dal XII° Corpo d’Armata. Foto per gentile concessione di Mario Piraino.

Terrasini, i prigionieri di guerra al momento del rancio. Foto per gentile concessione di Mario Piraino.

Documento del 20 luglio 1918. Foto per gentile concessione di Mario Piraino.

Prigionieri austriaci in un campo di transito. Foto per gentile concessione di mario Piraino.

I campi dei prigionieri austriaci in Italia. Foto per gentile concessione di Mario Piraino.

Termini Imerese - Ex convento di Santa Maria (o della Gancia) con annessa la Chiesa. Foto per gentile concessione di Mario Piraino.

Giuseppe Longo 

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