domenica 30 giugno 2024

Cento anni fa la battaglia navale al largo di Texel

Cefalunews, 17 ottobre 2014

Nel corso del 1914 la Hochseeflotte (la flotta d’alto mare) della Marina militare tedesca attuò una strategia particolare per contrastare la Grand Fleet della Royal Navy. Il piano messo in atto della Kaiserliche Marine, fu attuato per colmare il divario esistente tra le due marine da guerra. In realtà la flotta tedesca era numericamente inferiore a quella inglese. Pertanto, i tedeschi evitarono gli scontri diretti e preferirono attirare a se il nemico in operazioni isolate (Mare del Nord), allo scopo di eliminare quanti più navi possibili, e di conseguenza ridurre le fila inglesi. 

Nel quadro storico degli scontri avvenuti durante il 1914, è certamente importante ricordare un’operazione di guerra che avvenne cento anni fa al largo della costa olandese dell’isola di Texel. Chiediamo a Virginio Trucco (1) di parlarci per l’appunto della battaglia di Texel avvenuta il 17 ottobre del 1914.

«Dopo la battaglia di Heligoland - prima battaglia navale della Grande Guerra -, avvenuta il 28 agosto 1914 e che costò alla Kaiserliche Marine la perdita di 3 incrociatori leggeri, 2 torpediniere e il danneggiamento di un incrociatore leggero (con la perdita di 1087 uomini fra deceduti, feriti e prigionieri), il Kaiser ordinò alla flotta di evitare lo scontro con formazioni inglesi. Nonostante l’ordine, la marina tedesca, continuò a utilizzare il naviglio sottile per crociere in alto mare e la posa di mine nelle acque prossime ai porti nemici; mentre le unità inglesi effettuarono i loro regolari pattugliamenti, in difesa del traffico marittimo. 

Lo scontro ebbe origine proprio da una di queste missioni. La 7^ Half Flottilla di torpediniere, comandata dal capitano di corvetta Georg Thiele, forte di 4 unità: S119 (torpediniera capo flottiglia), e, le torpediniere (S118, S117 e S115) il giorno 17/10/1914, uscì dal fiume Ems, con il compito di minare la costa Sud del Regno Unito, compresa la foce del Tamigi, al fine di disturbare il traffico di rifornimenti, verso la Francia. 

Intorno alle 13.50, le torpediniere, furono avvistate dalla 3^ Flottiglia cacciatorpediniere Harwich Force, composta dall’incrociatore leggero Undaunted, e dai caccia Lennox, Lance, Loyal e Legion, al comando del capitano di vascello Cecil H. Fox. In un primo momento, le torpediniere tedesche che probabilmente erano in attesa di rinforzi, non cambiarono rotta (l’architettura navale del tempo, non permetteva un facile riconoscimento delle navi in lontananza). Quando le due formazioni, si avvicinarono a sufficienza, i tedeschi riconobbero le navi, e iniziarono a virare. Il cambiamento di rotta delle torpediniere tedesche fu eseguito poiché lo scontro non era a loro favorevole, essendo armate con cannoni da 50mm e siluri da 450mm. 

Le unità inglesi invece disponevano di cannoni da 150mm e 100mm e siluri da 450.  L’Undaunted, unità più vicina alle torpediniere nemiche, apriva il fuoco con i pezzi da 152 mm. Sottoposte al tiro avversario le torpediniere tedesche effettuarono manovre evasive. Tale azione ridusse la loro velocità di navigazione, e permise alle unità inglesi di serrare le distanze. Dato che per l’incrociatore inglese il pericolo maggiore era costituito dai siluri, il comandante Fox ordinò ai caccia di impegnare direttamente le torpediniere dividendosi in due sezioni: il Lance e Lennox si diressero verso l’S115 e S119, mentre il Legion e il Loyal si diressero sul S117 e S118. 

Il fuoco dei due caccia combinato con quello dell’incrociatore, centrò prima la S118, spazzandone completamente il ponte, la nave affondò alle 15.17. Nel frattempo, la seconda sezione danneggiò il timone della S115, costringendola a navigare in cerchio, permettendo così al Lennox di distruggerne la coperta. Nonostante tutto, i tedeschi continuarono a combattere. 

Le torpediniere S117 e l’S119 effettuarono il lancio dei siluri contro l’incrociatore, quest’ultimo riuscì a evitarli. Intanto, sopraggiunsero in soccorso i due caccia che avevano affondato la S118. Il Legion attaccò la S117, quest’ultima torpediniera lanciò contro il caccia, gli ultimi siluri rimastigli e continuò a difendersi con i cannoni; ma dopo il danneggiamento del timone, affondò alle 15.30. Il Lance, si unì al Loyal, nell’ingaggio della S119, la torpediniera tedesca lanciò i siluri contro il Lance, colpendolo a centro nave, ma il siluro non esplose. Sotto il fuoco combinato dei due caccia la torpediniera S119 affondò alle 15.35. 

L’unica unità tedesca rimasta fu affondata dall’incrociatore leggero Undaunted alle 16.30. Lo scontro ebbe il seguente risultato, per i tedeschi l’affondamento di 4 torpediniere, con la perdita di 218 uomini, più 30 catturati in acqua dagli inglesi, mentre questi ultimi lamentarono il danneggiamento di tre caccia e 5 feriti. La distruzione delle 4 torpediniere, cambiò di nuovo la tattica della Marina tedesca, che utilizzo il naviglio leggero solo nel pattugliamento costiero, lasciando il compito di contrastare il traffico marittimo ai sommergibili».

(1) Virginio Trucco è nato a Roma, ha frequentato l’Istituto Tecnico Nautico “Marcantonio Colonna”, conseguendo il Diploma di Aspirante al comando di navi della Marina Mercantile. Nel 1979, frequenta il corso AUC (Allievo Ufficiale di Complemento) presso l’Accademia Navale di Livorno, prestando servizio come Ufficiale dal 1979 al 1981. Dal 1981 è dipendente di Trenitalia S.p.A.

Giuseppe Longo 

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Prima Guerra Mondiale: la nascita dei Reparti d’Assalto – gli “Arditi”

 


Lo sbarco alleato in Sicilia nel 1943. Il coinvolgimento della Regia Guardia di Finanza nelle operazioni belliche e difensive

 


Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.) – Le Coorti territoriali

 


L’Africa Orientale Italiana e la Milizia Coloniale

 


Le vicende del marinaio Mariano La Malfa a bordo del “Maestrale”, durante il secondo conflitto mondiale e la sua attività di servizio nella Guardia di Finanza

 


La guerra italo-turca. Le torpediniere italiane forzano i Dardanelli

Cefalunews, 20 dicembre 2021

Nel primo decennio del 1900 la sola Libia, ultimo lembo dell’Africa mediterranea, rimase incontaminata da ogni tentativo di ingerenza delle potenze europee. La Gran Bretagna già in precedenza aveva acquisito il controllo fisico di Cipro, Egitto e del Canale di Suez. Mentre, la Francia, dopo essersi impadronita della Tunisia e dell’Algeria, in continuo movimento stava fagocitando anche il territorio del Marocco. In questo quadro geografico – coloniale, l’Italia, dopo aver assopito i disastrosi eventi militari di Dogali (1887) e di Adua (1896), riprese, sotto il Governo di Giovanni Giolitti (1842-1928), le mire espansionistiche verso il continente antico.

Infatti, restaurate le finanze interne e rimesse in efficienza le forze armate, l’interesse nazionale fu rivolto verso la conquista della “Quarta sponda” (ossia le province ottomane della Tripolitania e della Cirenaica), che avrebbe portato l’Italia oltre a riacquisire una centralità nel Mediterraneo, rafforzare anche gli interessi commerciali e finanziari in quei territori. Una sorta di rivincita colonialista dopo le passate sconfitte in Etiopia.

L’attenzione si sveltì quando la Francia si assicurò il possesso di fatto del Marocco. Con tutto ciò, i rapporti di amicizia tra l’Impero osmanico e il Regno d’Italia si incrinarono, quando […] Il governo Giovine-Turco costituzionale in Turchia – pel quale furono fatte in Italia tante dimostrazioni di simpatia – si è mostrato sempre più ostile all’estendersi dell’influenza e della penetrazione economica dell’Italia nella Tripolitania […] (Cfr. Illustrazione Italiana 5 Novembre 1911).

Questa tensione politica tra l’Italia e l’Impero Ottomano, come vedremo, sfociò nel conflitto armato. La violenza nei confronti di cittadini italiani in Cirenaica e Tripolitania fu il casus belli che portò alla campagna di Libia.

Il giovane Regno sabaudo, dal canto suo preparò l’azione militare in assoluta segretezza, fin quando l’incaricato d’affari a Costantinopoli, Giacomo De Martino (1868-1957), il 28 settembre presentò al Gran Visir e Ministro degli Esteri ottomano İbrahim Hakkı Pascha (1862-1918) un ultimatum (quest’ultimo, il De Martino l’aveva ricevuto telegraficamente da Roma nella notte tra il 26 e 27).

Per “L’impresa di Libia” fu costituito uno speciale Corpo di spedizione al comando del Generale Carlo Caneva (1845-1922), formato da reparti organici: Reggimenti di fanteria, squadroni, batterie, compagnie del genio, di sanità e sussistenza, in totale, inizialmente, circa 34.000 uomini (1), e fortemente sostenuto dalla Regia Marina. Lo sbarco a Tripoli, delle forze italiane, avvenne in due ondate, e incontrò un’accanita resistenza da parte delle truppe turche e della cavalleria berbera, tanto che l’Italia dovette incrementare le file del proprio esercito.

Pertanto, la guerra in terra di Libia non fu una “passeggiata militare” come la stampa nazionalistica aveva titolato sulle pagine dei giornali, oppure come sovente si era conversato nei circoli militari. Ciò nonostante, le preliminari brillanti operazioni navali della nostra Marina furono salutate in Italia da un’ondata di entusiasmo e ottimismo. Soprattutto per la rischiosa, quanto fulminea operazione navale dei Dardanelli.

In realtà, sin dagli inizi della guerra di Libia, la Regia Marina che aveva il completo controllo dei mari, aveva già predisposto un piano per forzare lo Stretto dei Dardanelli. Inoltre, tentò più volte di costringere la flotta turca ad affrontare i combattimenti in mare aperto. Ma gli ottomani avevano sempre evitato lo scontro, arroccandosi al sicuro, lungo il braccio di mare che collega il mar di Marmara all’Egeo.

La flotta italiana si era spinta sino ai litorali ottomani per assicurarsi le basi d’appoggio, e di conseguenza bloccare la fascia costiera egea. Furono occupate Rodi e le isole del Dodecaneso, e il tanto desiderato piano militare per forzare l’Ellesponto, alla fine si concretizzò. Infatti, l’incursione nel Canale dei Dardanelli (Çanakkale Boğazı), fu affidata al Capitano di Vascello, Enrico Millo (1865-1930) al comando di 5 torpediniere d’alto mare: Astore, Centauro, Climene, Perseo e Spica. Proprio sul silurante Climene era imbarcato il nostro concittadino termitano Agostino Longo (1889-1967), cannoniere scelto.

«Nella notte tra il 18 e il 19 luglio la formazione si spinse coraggiosamente per circa 11 miglia, all’interno del braccio di mare, giungendo sino agli sbarramenti di Costantinopoli. L’intento era quello di colpire con i siluri le grandi e pesanti navi da guerra nemiche ormeggiate nella rada di Nagara. Ma, una volta scoperte dalle vedette di sorveglianza ottomana, e nonostante l’incidente allo Spica, le nostre unità navali elusero gli energici tiri di artiglieria, invertirono la rotta e si ricongiunsero alle navi di appoggio: l’incrociatore corazzato Vettor Pisani, e i cacciatorpediniere Nembo e Borea.

L’impresa italiana dei Dardanelli ebbe un grosso eco internazionale e generò delle ripercussioni in seno alla politica turca. In realtà, il Governo di Costantinopoli fu costretto a dimettersi, e si formò un nuovo governo più incline alla pace, guidato da Kiamil Pascià (1832- 1913).

Nei primi giorni del luglio 1912, il ministro delle Marina vice ammiraglio Pasquale Leonardi Cuttica, il capo di stato maggiore vice ammiraglio Carlo Rocca Rey e il responsabile dell’ispettorato siluranti capitano di vascello Enrico Millo, si riunirono nel massimo segreto presso il ministero della marina a Roma, per discutere i particolari per il forzamento dello stretto dei Dardanelli e il siluramento della flotta turca, quella che sarà una delle più ardite azioni compiute da una marina da guerra.

Lo stato maggiore della marina fin dai primi giorni della guerra scoppiata improvvisamente il 29 settembre 1911 aveva sempre sostenuto che per costringere la Turchia alla resa occorreva colpirla al cuore del suo impero. Ma il governo aveva sempre negato l’autorizzazione in quanto l’impresa avrebbe inevitabilmente creato problemi diplomatici, ma ore dopo mesi di guerra, con risultati militari modesti, e i turchi che cercavano dii ritardare le trattive di pace nella speranza che un intervento delle diplomazie internazionali a loro favore, l’operazione sembrava l’unica possibilità di costringere la Turchia alla resa.

Il tutto inizio nel lontano 1881, quando noncurante degli interessi italiani già presenti in Tunisia, la Francia la occupò militarmente e la dichiarò suo protettorato, cosa che porto l’Italia ad aderire alla triplice alleanza con Germania e Austria.

Nel maggio 1911 prendendo come spunto una rivolta contro il sultano del Marocco la Francia inviò un corpo di spedizione, ma questa volta il Kaiser Guglielmo II, che aveva anche lui aspirazioni sulla sponda africana del Mediterraneo, inviò la Cannoniera Phanter a sostegno del sultano, il fine del kaiser era quello di ottenere una contropartita territoriale dalla Francia, alla fine i due paesi si accordarono per l’occupazione della Libia da parte Germania.

Il governo italiano decise di impedire l’inserimento di un'altra potenza in Tripolitania e Cirenaica, vista la particolare situazione internazionale favorevole all’Italia, decise per l’invasione della Libia. 

Frettolosamente il 26 di settembre il governo emanò le disposizioni per la mobilitazione dell’esercito, mentre la notte fra il 26 e 27 settembre inviò al nostro ambasciatore a Costantinopoli l’ultimatum da presentare al governo turco con scadenza le 14.00 del 29, una vaga risposta del sultano giunse prima della scadenza dell’ultimatum, ma non ritenendola soddisfacente, l’Italia si considerò in guerra.

La flotta turca era composta da due corrazzate, 3 incrociatori protetti, 14 cacciatorpediniere e 25 torpediniere, a queste l’Italia contrapponeva 10 corazzate, 9 incrociatori corazzati,3 incrociatori protetti, 21 cacciatorpediniere e 40 torpediniere, la superiorità navale italiana era il valore determinante per il successo della spedizione, solo il dominio del mare permetteva all’Italia di inviare uomini e materiali con continuità per la riuscita dell’impresa, preoccupante era il nucleo maggiore della flotta turca che si trovava nel porto di Beirut, anche se inferiori avrebbero potuto creare problemi nella delicata fase degli sbarchi, tanto che quando il 19 settembre le navi lasciarono il porto si creò una certa apprensione nello stato maggiore della marina finché non fu informato che il 28 di settembre la squadra aveva dato fondo nei Dardanelli. Il 29 settembre il Duca degli Abruzzi al comando dell’ispettorato delle siluranti, ricevette l’ordine di sorvegliare la costa albanese per impedire al nemico di uscire in mare. 

Allo scadere dell’ultimatum, i cacciatorpediniere Artigliere e Corazziere avvistarono e attaccarono due torpediniere turche nei pressi di Prevesa affondandone una. Il giorno dopo furono intercettati un cacciatorpediniere e una torpediniera a Igumenizza  e dopo breve combattimento furono affondati tutte e due, l’Austria preoccupata di un eventuale invasione dell’Albania, protestò immediatamente, tanto che il governo ordino di cessare le azioni offensive in Adriatico. Nonostante tutto il 5 ottobre unità italiane entrarono a San Giovanni di Medua per ispezionare una nave neutrale, da terra aprirono il fuoco e le nostre navi risposero bombardando le posizioni turche. 

L’Austria si convinse che l’Italia mirava anche all’occupazione dell’Albania e inviò una nota dove lamentava l’accaduto e chiese il rispetto degli accordi pena contromisure militare, ad appoggio della nota spostò le sue navi da Pola a Durazzo. A questo punto il ministro della marina ordinò di sospendere tutte le operazioni in Adriatico.

Intanto il 28 settembre prima della scadenza dell’ultimatum si trovavano davanti a Tripoli 2 corazzate,4 incrociatori, 2 esploratori e 6 cacciatorpediniere, il primo ottobre circa metà della flotta era schierata davanti alla città, il 3 ottobre dopo aver intimato la resa, la squadra iniziò il bombardamento dei forti Hamidiè e Sultania posti a difesa della città, all’alba del 5 le navi sbarcarono una compagnia di 970 uomini che occupò il forte Sultania e una seconda compagnia di 770 fu fatta sbarcare alle 15.00 che occupò il porto è l’abitato subito dopo lo sbarco i marinai costituirono una linea di difesa intorno a Tripoli. Negli stessi giorni compagnie da sbarco della Marina occuparono Tobruk. 

Solo il giorno 13 i marinai furono sostituiti dai soldati del regio  Esercito, tornarono alle navi ma sempre pronti ad intervenire, dopo poco tutte le principali città furono occupate, sempre con l’ausilio di compagnie da sbarco della Marina. Visti i pochi progressi che venivano dal fronte terrestre, il governo informò l’Austria che avrebbe portato la guerra nell’Egeo, furono così occupate alcune isole con l’assicurazione che sarebbero state lasciate a conflitto ultimato. Il 5 novembre l’ammiraglio Revel presentò un piano per l’attacco ai dardanelli, che ripresento il 29 di febbraio, e ricevette l’ordine di procedere verso la metà di marzo. L’ammiraglio mise a punto tutti i particolari, la parte principale era affidata a sei torpediniere, mentre una corazzata, 3 incrociatori, un incrociatore ausiliario e due cacciatorpediniere dovevano scortare le torpediniere, all’ultimo momento si scoprì che i turchi avuto qualche sentore avevano spostato la flotta nel Mar di Marmara e intensificato la sorveglianza, un secondo attacco fu tentato la notte fra il 17 e18 aprile, mentre le unità maggiori si tenevano pronte ad intervenire, le siluranti si avvicinavano allo stretto, ma il mare mosso impediva di mantenere la formazione quindi l’operazione venne di nuovo sospesa, la mattina dopo la squadra italiana tentò di attirare le navi turche fuori dagli stretti, mentre 3 corazzate e 3 incrociatori si tenevano nascosti dietro l’isola di Imbros altri 3 incrociatori si portarono davanti agli stretti ma non accadde nulla, dopo due ore le navi rimaste nascoste si avvicinarono ai Dardanelli, da dove stava uscendo un cacciatorpediniere con compiti esplorativi, i tre incrociatori iniziarono ad inseguire l’unità turca, che batté in ritirata, quando le unità giunsero a circa ottomila metri dalla costa i forti ottomani aprirono il fuoco, la navi italiane risposero, lo scontro durò circa 2 ore, le navi italiani spararono 550 colpi provocando notevoli danni ai forti. A questo punto la Turchia reagì in maniera pericolosa, chiudendo gli stretti al traffico commerciale, provocando le vivaci reazioni delle nazioni europee. I Turchi speravano che le diplomazie avrebbero obbligato l’Italia ad abbandonare l’impresa. Ma il 2 maggio 1912 le pressioni europee e soprattutto della Russia costrinsero i turchi a riaprire gli stretti. All’inizio di giugno dopo molte difficoltà si svolsero a Losanna incontri riservatissimi, ma i turchi dimostrarono di non voler giungere  ad un accordo, fu così rispolverata l’idea di attaccare le navi nei Dardanelli.

Dopo i colloqui al ministero, ai primi di luglio, il CV Millo lasciò Roma e a bordo dell’incrociatore Vettor Pisani raggiunse il 12 Stampalia, con la scusa di effettuare lavori idrografici nelle isole occupate. Quindi si sposto nella baia di Parthana nell’isola di Lero, dove lo aspettavano 5 delle più recenti torpediniere. Lo Spica della classe Sirio, costruita nei cantieri Schichau di Elbing ( citta vicino Danzica), varato il 15 luglio del 1905 con un dislocamento di 210 T era armata con tre lancia siluri da 450 mm  e tre cannoni da 47mm, la potenza dell’apparato motore era di 3000 CV e le consentiva di oltrepassare i 25 nodi, fu radiata il 24 marzo 1923. Le altre 4 Perseo, Astore,  Climene e Centauro appartenevano alla classe Pegaso di 18 unità. Perseo, Climene e Centauro furono costruite dai cantieri Pattison di Napoli, L’Astore dai cantieri Orlando di Sestri Levante. Dislocavano 216.5 T e avevano lo stesso armamento e velocita dello Spica. Il Perseo fu varato nel  dicembre del 1905 ed affondò il 6 febbraio del 1917 nei pressi di Stromboli in seguito a collisione con L’Astore . L’Astore fu varato nel giugno del 1907 e fu radiato nel 1923. Il Climene fu varato nel maggio del 1909 e vi fu installata una caldaia a nafta, mentre quelle delle altre unità erano alimentate a carbone, fu radiato nel 1926. Il Centauro fu varato nel 1906 e il 5 novembre del 1921 si arenò nel golfo di Adalia ( Turchia) andando completamente distrutto. L’operazione fissata per il 16 luglio, fu spostata al 18.

Le torpediniere scortate dal Vettor Pisani e due cacciatorpediniere lasciarono Lero alle 18.00. a loro sostegno le seguivano a distanza le Corazzate Vittorio Emanuele, Regina Elena, Roma e Napoli e gli incrociatori Pisa, Amalfi e San Marco, pronti a intervenire nel caso di un contrattacco turco. Alle 23.30 dopo che Millo aveva trasbordato sullo Spica le torpediniere lasciarono la loro scorta ravvicinata e verso mezzanotte alla velocità di 12 nodi imboccarono i Dardanelli, poco dopo Millo rilevata una leggere corrente contraria aumentò la velocità a 15 nodi, diversi proiettori dei forti erano accesi le unità italiane non furono avvistate, verso le 00.40 un proiettore del forte di Capo Helles inquadrò l’Astore seguendolo per alcuni minuti. Immediatamente venne dato l’allarme e fu aperto il fuoco sulle torpediniere, alcuni colpi caddero in prossimità delle torpediniere, ritenendo la difesa fiacca Millo decise di continuare ad avanzare per poi decidere sul da farsi, i suoi ordini infatti prevedevano che se l’attacco fosse risultato troppo pericoloso l’azione doveva ridursi ad una semplice ricognizione, quidi ordino di aumentare la velocità a 20 nodi e si avvicino alla costa europea. Le unità inquadrate dai proiettori navigavano sotto il fuoco nemico, diversi colpi perforarono il fumaiolo dello Spica, alcuni colpi di piccolo calibro colpirono il Perseo nello scafo e in coperta, L’Astore fu colpito due volte nello scafo e diverse altre alle sovrastrutture, ma continuavano ad addentrarsi nello stretto, dopo aver percorso circa 11 miglia dall’entrata dello stretto ed a circa 2 dagli ancoraggi turchi, lo Spica incappo in un ostruzione di cavi d’acciaio che bloccò l’elica, dato la batteria di Kilid Bar aveva aperto il fuoco saturando lo spazio libero dalle ostruzioni presso la punta, Millo al fine di evitare la perdita di vite umane e delle navi, non appena lo Spica fu libero e le eliche furono di nuovo in moto ordinò alla squadriglia di invertire la rotta ed uscì dai Dardanelli, anche se l’uscita fu più difficoltosa dell’entrata, riportando solo lievi danni e nessuna perdita umana.

Il risultato militare dell’azione non fu eclatante ma ebbe effetti psicologici tremendi, i forti avevano sparato a casaccio senza vedere ne sapere, le navi erano state sorprese con i fuochi spenti e nonostate avessero acceso i proiettori non erano riusciti ad individuare le torpediniere italiane. Il governo turco fu costretto a dimettersi ed il nuovo governo fu più propenso alla pace che diede un nuovo impulso alle trattive in corso a Losanna, la pace fu firmata il 18 ottobre del 1912.

Sull’onda dell’impresa, gli inglesi tre anni dopo pensarono di porte replicare l’azione contro i dardanelli, cosa che non si rilevò facile e portò all’insuccesso della spedizione di Gallipoli».

Note:

(1) L’Esercito Italiano Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico.

(2) Virginio Trucco è nato a Roma, ha frequentato l’Istituto Tecnico Nautico “Marcantonio Colonna”, conseguendo il Diploma di Aspirante al comando di navi della Marina Mercantile. Nel 1979,frequenta il corso AUC (Allievo Ufficiale di Complemento) presso l’Accademia Navale di Livorno, prestando servizio come Ufficiale dal 1979 al 1981. Già dipendente di Trenitalia S.p.A. lo storico navale Virginio Trucco è membro dell’Associazione Culturale BETASOM (www.betasom.it).

Bibliografia e sitografia:

Enrico Corradini, Cronache della conquista di Tripoli, Illustrazione Italiana Anno XXXVIII n. 45 – 5 Novembre 1911.

AA.VV. Album ricordo Dardanelli 18-19 Luglio 1912, Macchi, 1913.

Navi e Marinai D’Italia. Le grandi battaglie del XX secolo. Storia della Marina.

Paolo Maltese, L’impresa di Libia, in Storia Illustrata N° 167, ottobre 1971.

Stato Maggiore dell’Esercito. L’Esercito Italiano, Ufficio Storico. Roma, Dicembre 1982.

Carlo Rinaldi, “I dirigibili italiani nella campagna di Libia”, Storia Militare N° 18, marzo 1995.

Hall, Richard C. Le guerre balcaniche, 1912-1913: preludio alla Prima Guerra Mondiale. Routledge, (2000).

Gian Paolo Ferraioli, “Politica e diplomazia in Italia tra XIX e XX secolo. Vita di Antonino di San Giuliano (1852-1914)”, Rubbettino, 2007.

Ferdinando Pedriali, “Aerei italiani in Libia (1911-1912)” , Storia Militare N°170/novembre 2007.

Alberto Caminiti, “Gallipoli 1915 – la campagna dei Dardanelli”, Koinè, 2008.

Paul G. Halpern, La grande guerra nel Mediterraneo. Vol. 1 1914-1916, Editrice Goriziana, 2009.

Giuseppe Longo 2014, “Verso il Centenario della Prima Guerra Mondiale 1914/2014”, Cefalùnews, 5 febbraio.

Giuseppe Longo 2014, Cento anni fa scoppiava la Prima Guerra Mondiale (1914-2014), Cefalùnews, 28 luglio.

Fabio Gramellini, Storia della Guerra Italo-Turca (1911-1912), Cartacanta, 2018.

Giuseppe Longo, Conferenza per il Centenario della Prima Guerra Mondiale, Società Operaia di Mutuo Soccorso “Paolo Balsamo, Termini Imerese, 24 novembre 2018.

www.marina.difesa.it 

www.iwm.org.uk 

www.britannica.com 

https://encyclopedia.1914-1918-online.net/home/ 

www.agenziabozzo.it 

Si ringrazia Angelo Casà dell’Archeoclub d’Italia Himera di Termini Imerese per il materiale fotografico inerente le Torpediniere d’alto mare Astore, Centauro, Climene, Perseo e Spica. 

Si ringrazia la Prof.ssa Rosa Lo Bianco, Presidente dell’Archeoclub d’Italia Himera, Termini Imerese. 

Foto di copertina: R. Nave “Vettor Pisani” – Torpediniere d’alto mare “Spica” – “Climene”, – “Perseo” – “Centauro” e “Astore”.

Giuseppe Longo 



I cosiddetti “incidenti degli schiaffi”: come Patton, comandante della 7a Armata americana perse le staffe, mettendo a rischio la sua carriera

 Cefalunews, 18 settembre 2021

Il Generale statunitense George Smith Patton Junior (1885 - 1945), soprannominato per la sua estrema risolutezza e determinazione il “Generale d'acciaio”, fu una figura di spicco durante lo sbarco alleato in Sicilia (9 luglio 1943). 

Insieme ai suoi parigrado: i britannici Harold Alexander (1891 - 1969), a capo del 15° Gruppo d’Armate (15th Army Group) e Bernard Law Montgomery (1887 - 1976), comandante dell’VIII Armata inglese, prese parte all’Operazione Husky (9 luglio-17 agosto 1943), una delle azioni aereonavali più imponenti e complesse della storia del XX secolo; che per importanza strategica fu seconda solamente a quella dello sbarco in Normandia, ovvero, l’Operazione Overlord, avvenuta il 6 giugno del 1944.

In questa prima fase della campagna d’Italia (10 luglio 1943 - 2 maggio 1945), guidata inizialmente dal generale Dwight Eisenhower (1890 - 1969), Patton fu messo al comando della settima Armata.

Nato da una famiglia di antiche tradizioni militari Patton fu uno dei pochi ufficiali americani con un’elevata esperienza in battaglia. Veterano nella Grande Guerra, combatté sul fronte francese. Nel 1940 fu nominato Brigadiere Generale, l’anno successivo fu posto al comando della 2° Divisione corazzata con il grado di Maggiore Generale, e nel 1943 promosso Comandante di Corpo d'Armata.

E’ alquanto notorio il suo carattere: burbero, collerico e impulsivo, non mascherando in certe circostanze anche e soprattutto la sua eccentricità. In realtà, Patton amava mostrarsi con una rivoltella Colt dall’impugnatura di madreperla che portava nella fondina, fissata al cinturone da cowboy fuori d’ordinanza. Oppure preferiva farsi notare con il suo cane di nome Willie, un Bull Terrier che spesso portava al guinzaglio.

Tuttavia, durante la campagna di Sicilia, due analoghi incresciosi episodi lo coinvolsero di persona: trovandosi negli ospedali da campo avanzati in quel di Nicosia (EN) e Santo Stefano di Camastra (ME), aveva redarguito due annichiliti soldati statunitensi, affetti da shock da combattimento, ma non feriti, apostrofandoli furiosamente come codardi, alla presenza di medici e pazienti. Poi, schiaffeggiandogli con i guanti che teneva in mano, li minacciò di riportarli di nuovo al fronte. 

L’atteggiamento di Patton fu definito dai vertici militari una vera e propria “caduta di stile”, che certamente gli arrecò danno facendogli perdere prestigio. Tanto che lo stesso Eisenhower lo costringerà a chiedere scusa dopo che la stampa americana presentò all’opinione pubblica l’imbarazzante notizia.    

Abbiamo chiesto al Generale (Ris). Mario Piraino di parlarci di questo spiacevole episodio che espose il Generale Patton, quest’ultimo soprannominato anche “Old Blood and Guts”, “The Old Man”, oppure “Bandito”. 

Gli schiaffoni di Patton in Sicilia: Come il Comandante della 7a Armata americana si giocò la carriera

«Nel mese di agosto 1943, mentre la battaglia per cacciare dalla Sicilia i tedeschi infuriava, Patton che si era guadagnato sul campo il soprannome di: “Old Blood and Guts” (Vecchio sangue e intestini), per avere una brama di battaglia senza riguardo per la vita delle sue truppe, nelle pause dei combattimenti, girava per gli ospedali da campo, vicini al fronte, per visitare i feriti.

Un detto comune tra i militari americani della 7a Armata Patton era “il nostro sangue, le sue viscere” giusto per sottolineare la pressione a cui erano sottoposti.

Era il 3 agosto e la Settima Armata di Patton, fresca di vittoria a Palermo, stava puntando su Messina. Durante il giro delle unità combattenti sotto il suo comando, "Old Blood and Guts", come era conosciuto, si fermò al 15th Evacuation Field Hospital nei pressi di Nicosia per incoraggiare e rendere omaggio alle vittime che venivano curate lì.

Mentre Patton visitava il reparto di degenza e cura, scorse Charles Kuhl, un fuciliere con il 26° Fanteria rannicchiato su una cassa di rifornimento. Il 18-year-old privato (diciottenne militare di leva), era stato tirato fuori dal combattimento per recuperare i sintomi di quello che i medici caratterizzavano come affaticamento da battaglia (noto ora come disturbo da stress post-traumatico).

Secondo quanto riferito da chi era presente, Kuhl, che era anche afflitto da malaria e dissenteria, all'epoca aveva una febbre di 102,2° gradi Farenait (cioè 39,0° C); Il generale Patton chiese al fuciliere delle sue ferite. Ed il giovane soldato rispose con voce debole ed incerta: "Credo di non poterlo sopportare".

Patton “si accese immediatamente”, ed è esploso in un incontenibile attacco d’ira, schiaffeggiò Kuhl sul mento con i guanti, poi lo afferrò per il colletto e lo trascinò all'ingresso della tenda. Lo spinse fuori dalla tenda con un calcio nel sedere. Urlando “Non ammettere questo figlio di puttana”. Quindi Patton ha chiesto al personale medico che Kuhl fosse rimandato al fronte, aggiungendo: “Mi hai sentito, bastardo senza fegato? Stai tornando al fronte”.

Successivamente Kuhl è stato trasferito dal personale ospedaliero in un'altra tenda e curato per la sua malattia.

In seguito gli fu diagnosticato un parassita della malaria. Parlando in seguito dell'incidente, Kuhl ha osservato che “nel momento in cui è successo, [Patton] era piuttosto esausto... penso che stesse soffrendo un po' di fatica da battaglia”. Kuhl scrisse ai suoi genitori dell'incidente, ma chiese loro di “semplicemente dimenticarlo”. Quella notte, Patton registrò l'incidente nel suo diario: “[Ho incontrato] l'unico codardo errante che abbia mai visto in questo esercito. Le compagnie dovrebbero trattare con tali uomini, e se si sottrae al loro dovere, dovrebbero essere processati per codardia e fucilazione”.

Nel giro di 48 ore, un promemoria dal quartier generale della Settima Armata uscì ordinando a tutti i comandanti di cessare e desistere dall'invio di casi di fatica da battaglia nelle retrovie.

“Questi uomini... portano discredito sull'esercito e disonore ai loro compagni”, ha scritto Patton.

Il secondo episodio ebbe luogo il 10 agosto, mentre Patton visitava il 93° Ospedale di Evacuazione a Santo Stefano di Camastra, il generale incontrò il Pvt. Paul Bennet, 21 anni. L'artigliere della Carolina del Sud era stato mandato nelle retrovie per riprendersi dall'esaurimento fisico e dalla disidratazione. Patton si avvicinò al soldato apparentemente illeso mentre sedeva tremante.

“Sono i miei nervi”, sbottò il soldato quando il generale gli chiese delle sue condizioni. “Non sopporto più i bombardamenti”.

“Diavolo, sei solo un dannato codardo”, ruggì Patton e poi colpì il soldato in faccia. Bennet si ritrasse sotto i colpi, che gli fecero cadere l'elmo dalla testa.

“Stai tornando in prima linea”, gridò il generale aggiungendo che non gli importava se il giovane fosse stato colpito e ucciso lì.

“Dovrei spararti io stesso”, gridò, estraendo la pistola.

I medici balzarono rapidamente in avanti e spinsero Bennet fuori dalla tenda mentre il generale spiegava agli spettatori a bocca aperta che gli faceva “ribollire il sangue” avere “bastardi dal ventre giallo che venivano accuditi”.

Il soldato semplice Paul G. Bennett, 21 anni, della batteria C, del 17° reggimento di artiglieria da campo degli Stati Uniti, era un veterano di quattro anni dell'esercito americano e aveva prestato servizio nella divisione dal marzo 1943. I registri mostrano che non aveva precedenti medici fino al 6 agosto 1943.

Le proteste inoltrate dal personale medico presente agli incidenti e la grande attenzione da parte dell'opinione pubblica americana, obbligarono, il comandante in capo delle forze alleate generale Dwight Eisenhower, il superiore di Patton, a prendere severi provvedimenti: Patton fu obbligato a scusarsi personalmente con i due soldati coinvolti negli incidenti, e la sua Seventh Army, con poche forze, fu relegata al compito di presidio della Sicilia venendo esclusa da ulteriori operazioni nell'ambito della campagna d'Italia e dello sbarco in Normandia.

Nel rapporto inoltrato dal personale medico, finito casualmente agli organi di stampa, venivano scrupolosamente descritti i “Maltrattamento dei pazienti nelle tende riceventi degli ospedali di evacuazione 15th e 93rd” che descriveva ampiamente le azioni di Patton in entrambi gli ospedali: Il soldato semplice Charles H. Kuhl, della compagnia L, del 26° reggimento di fanteria degli Stati Uniti, si presentò a una stazione di soccorso della compagnia C, 1° battaglione medico, il 2 agosto 1943. Kuhl, che era stato nell'esercito americano per otto mesi, era stato assegnato a la 1aDivisione di Fanteria dal 2 giugno 1943. Gli fu diagnosticata l'“esaurimento”, una diagnosi che gli era stata data tre volte dall'inizio della campagna. 

Dal pronto soccorso, è stato evacuato in una struttura medica e gli è stato somministrato sodio amytal. Gli appunti nella sua cartella clinica indicavano “stato di ansia psiconevrosi, moderatamente grave (il soldato è stato due volte prima in ospedale in dieci giorni. Non può prenderlo al fronte, evidentemente. Viene ripetutamente restituito dai comandanti.)” Kuhl è stato trasferito dalla stazione di soccorso al 15° ospedale di evacuazione vicino a Nicosia per ulteriori valutazioni».

Filmografia:

Patton, generale d'acciaio di Franklin James Schaffner - 1970. 

Bibliografia e sitografia:

Harold Alexander, John David North - Le memorie del maresciallo Alexander 1940-1945 1963, Garzanti 1963

Martin Blumenson, The Patton Papers: 1940–1945, Boston, Houghton Mifflin, 1974

Giuseppe Salme, 2003 “Quando le cronache dello sbarco censurarono gli schiaffi di Patton” la Repubblica.it - 7 settembre

Alan Axelrod, Patton: A Biography, Londra, Palgrave Macmillan, 2006

Rick Atkinson, Il giorno della battaglia, Mondadori, 2015

Giuseppe Longo, La II Guerra Mondiale in Sicilia e nel Distretto di Termini Imerese, I.S.S.P.E. 2021. 

Foto di copertina: George Smith Patton,  da Wikipedia

George Smith Patton, da www.eosrivista.com

George Smith Patton, 30 marzo 1943, da Wikipedia.

Francobollo statunitense da 3 centesimi del 1953 dedicato al generale Patton. “In onore del generale George S. Patton, Jr. e delle forze corazzate dell'esercito americano”. Da Wikipedia.

Foto: per gentile concessione del Gen. (Ris) Mario Piraino

Le operazioni militari della Regia Guardia di Finanza nelle colonie oltremare

 Cefalunews, 28 settembre 2021

Con la legge di riordino dell’8 aprile 1881, n. 59, il “Corpo delle Guardie Doganali”, assunse la nuova denominazione di Corpo della Regia Guardia di Finanza.

Le Guardie Doganali furono istituite con la legge 13 maggio 1862, n. 616 ed erano poste alle dipendenze del Ministero di Finanza, tramite la Direzione Generale delle Dogane e delle Privative. La variazione dell’Ordinamento delle Guardie Doganali, oltre a riguardare il nome a se stante e l’aspetto organizzativo (ossia la trasformazione da reparto paramilitare a corpo di polizia a ordinamento militare), coinvolse anche l’organo istituzionale di subordinazione.

Infatti, le Guardie Doganali nate dallo scioglimento degli organismi daziari dei disciolti Stati preunitari con i preposti doganali piemontesi, e dalle analoghe strutture daziarie degli Stati del Lombardo-Veneto e Pontificio (questi ultimi, annessi al Regno dopo le campagne militari del 1866 e 1870), dipendevano dalle sopraccennate Regie dogane, mediante la Direzione Generale Gabelle.

Con la riforma del 1881 il nuovo Corpo passò alle dipendenze della neo istituita Intendenza di Finanza.

Come per la Guardia Doganale, quest’ultima, mobilitata durante le guerre preunitarie:

  • ·    Difesa di Cannobio, sul Lago Maggiore (1859);
  • ·   Repressione del brigantaggio nelle regioni delle Marche e Umbria, sulla linea di confine della Sabina (1860);
  • ·     E in seguito durante la Terza guerra d'indipendenza (20 giugno - 12 agosto 1866);

Anche il neonato Corpo della Regia Guardia di Finanza, in virtù di questo riordino fu inserito tra le Forze militari di guerra del Regno d’Italia.

In realtà, segno inequivocabile di questa “militarizzazione” fu la concessione delle stellette a cinque punte nel 1907. E quattro anni dopo l’assegnazione della bandiera di guerra, identica a quella prevista per i reggimenti di fanteria.

Tuttavia, la R. Guardia di Finanza ormai integrata nelle strutture difensive militari, ebbe il suo battesimo del fuoco con la guerra italo-turca (29 settembre 1911 - 18 ottobre 1912).

Durante la Prima Guerra Mondiale, sul fronte italiano (24 maggio 1915 - 4 novembre 1918), il nuovo Corpo contribuì in misura significativa schierando in campo diciotto battaglioni e quattro compagnie autonome, distinguendosi in numerosi fatti d’arme.

Nella seconda guerra italo - abissina (3 ottobre 1935 - 5 maggio 1936), oltre ai reparti di tutte le armi: Esercito, Truppe indigene, Aviazione, Marina, Carabinieri Reali, Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.), ovvero le Camicie Nere (CC.NN.), anche la Regia Guardia di Finanza fu presente con un battaglione speciale al comando del tenente colonnello Enrico Palandri (1896 - 1969).

Abbiamo chiesto al Ricercatore Storico Militare Michele Nigro (1) di parlarci delle operazioni militari della Regia Guardia di Finanza nelle colonie d’oltremare, non prima di averci raccontato come si arrivò alla militarizzazione del R. Corpo dopo il transito dalla Guardia Doganale. 

«Le operazioni militari del Corpo delle Guardie di Finanza in Africa iniziarono nel 1887 con l’invio a Massaua, porto principale dell’Eritrea, di un nucleo di guardie, al comando del capitano Stefano Paci, per affiancare l’opera già svolta in quel posto dall’ispettore del Corpo Meloni, dirigente della  dogana. 

Nel 1902 in Africa Orientale la Finanza s’insediò con un minuscolo distaccamento costituito da Ascari alle dipendenze di sottufficiali del Corpo. 

La riforma organica della struttura ordinativa attuata nel 1906, il conferimento delle stellette l’anno successivo e la concessione della bandiera di guerra nel 1911, consentirono al Corpo di entrare a pieno titolo nelle forze armate dello Stato. 

In tale veste esso partecipò alla spedizione militare in Libia disposta dall’Italia quale inizio dell’occupazione di quel territorio. 

Il 2 novembre 1911, un nucleo di finanzieri condotto dal capitano Attilio Pesavento, s’imbarcò a Napoli con un contingente di militari al comando del generale Carlo Caneva per raggiungere Tripoli. Qui le Fiamme Gialle occuparono i locali in uso alla dogana turca per organizzare i servizi doganali e svolgere i compiti propri della polizia militare. 

Le Guardie controllavano l’interno della zona portuale;affollata da navi, ricca di traffici di merci e rifornimenti di ogni genere destinati alle nostre truppe ivi attestate in attesa di ordini. 

Il lavoro dei finanzieri era abbastanza gravoso dovendo gestire il movimento interno di persone e mercanzie,contrastare lo sviluppo di attività illecite, il contrabbando, il traffico di valuta e i furti dei materiali depositati negli spazi portuali. 

Per fronteggiare tale situazione si provvide a rafforzare gli organici, ad attivare l’attività info-investigativa e a istituire un dispositivo di vigilanza costiera per limitare il contrabbando con la Tunisia e il traffico di armi dirette ai ribelli arabi. Con lo sviluppo dell’occupazione militare, furono istituiti alcuni distaccamenti di finanzieri in Tripolitania,a Homs e in Cirenaica,a Bengasi e Derna. 

La sopravvivenza dei reparti dislocati all’interno dei territori occupati era molto difficile poiché, a causa dell’isolamento e della scarsa consistenza numerica (30/40 uomini), i reparti erano soggetti agli attacchi dei guerriglieri che infliggevano continue perdite. Ai finanzieri non era affidato solo l’incarico di presidiare le località assegnate, ma di svolgere anche il gravoso compito di esigere dazi doganali e vigilare sulla produzione di alcool ricavato dall’olio di palma. 

In merito alla futura evoluzione del conflitto, rimaneva ferma nelle intenzioni del comando generale del Corpo di impiegare nelle campagne di guerra proprie unità autonome l'affiancate a quelle dell’esercito. 

L’occasione si presentò agli inizi di gennaio del 1912 con l’invio a Tripoli di una compagnia,con circa duecento uomini agli ordini del capitano Antonio Papaleo, che venne aggregata alla II brigata mista comandata dal colonnello Fara, con l’incarico di presidiare la cinta difensiva cittadina. 

Oltre ad assolvere tale incarico, il reparto prese parte all’occupazione dell’Oasi di Gargaresh che presidiò fino all’estate, passando nel frattempo alle dipendenze del 6° reggimento di fanteria. 

L’azione più importante in questo periodo fu condotta dal capitano Gaspare Carruba e dai suoi uomini, aggregati alla 5ª divisione del generale Garioni. L’unità sbarcò nei pressi del confine libico-tunisino (penisola di Ras Màkbez) per costituirvi una base operativa volta a contrastare il contrabbando di guerra effettuato per mezzo d’imbarcazioni o sfruttando l’uso delle viecarovaniere. 

Il promontorio era dominato dal fortino turco di Bu Chemez e la zona costiera prospiciente era caratterizzata da bassi fondali che consentivano l’attracco esclusivamente con l’utilizzo d’imbarcazioni a fondo piatto. Il convoglio partì da Augusta il 7 aprile con la scorta di navi da battaglia. I primi a toccare terra l’11 mattina furono i finanzieri del plotone comandato dal citato ufficiale che, scesi a terra,unitamente ad ascari eritrei, conquistarono il fortino nel frattempo abbandonato dai Turchi. 

Le Guardie, a più riprese, si occuparono inoltre del traghettamento a terra dei genieri e dell’intero battaglione di ascari. L’attacco improvviso degli arabi non fermò l’opera dei finanzieri che continuarono per tre giorni a fare la spola tra le navi e la terraferma, assicurando l’approvvigionamento di viveri e lo sgombero dei militari feriti. Cessata la battaglia, la divisione proseguì verso il villaggio di Sidi Said, da dove si presumeva provenissero i guerriglieri, che fu attaccato e conquistato il 28 giugno. La colonna proseguì poi verso Zuara che fu raggiunta e occupata il 5 agosto. In tale frangente,gli uomini appartenenti al plotone del tenente Carruba furono destinati alla costituzione di distaccamenti costieri. 

Sempre a giugno, un plotone di finanzieri di mare partecipò alla presa di Misurata. La compagnia di Papaleo, che nel frattempo aveva lasciato la posizione di Gargaresh, concorse insieme alla divisione Camerana, all’occupazione di Zanzurresa difficile per l’ostinata resistenza dei guerriglieri che la difendevano. L’avanzata proseguì,concludendosi con la conquista delle alture di Sidi Bilal e del presidio di Zava. Con il rientro a Tripoli la divisione s’imbarco per l’Italia. 

La rivolta araba aveva,tuttavia, provocato l’arresto dell’avanzata verso l’interno per cui l’attività dei finanzieri in quelle località fu prevalentemente indirizzata al presidio delle coste edei valichi di frontiera tra la Tunisia e l’Egitto. Il 30 giugno del 1914, a causa degli eventi che si stavano sviluppando in Patria, fu dichiarata la cessazione dello stato di guerra nella Tripolitania e Cirenaica. 

Lo scoppio della I Guerra Mondiale pose fine, definitivamente, al proseguimento delle attività nei territori d’oltremare. Nel corso del conflitto la Germania tentò, senza successo, di distogliere truppe italiane dal teatro operativo europeo, inducendo i ribelli turchi a insidiare con continui attacchi i presidi coloniali che subirono gravi perdite e furono costretti ad abbandonare importanti posizioni. 

Dopo il lungo periodo di stasi dettato dalle vicende belliche e dalla successiva crisi politico-economica, agli inizi degli anni venti, le strutture militari del Corpo presenti nei distaccamenti di Tripoli e Bengasi furono riorganizzate e incrementate con nuove assegnazioni e l’arruolamento di consistenti aliquote di ascari. 

Nel periodo in esame la Regia Guardia di Finanza impiegò nei territori d’oltremare venticinque ufficiali e circa mille tra sottufficiali e militari di truppa che, oltre a distinguersi in diverse azioni militari, costituirono un’importante fattore di regolamentazione della vita sociale nelle località presidiate. I reparti,presenti a livello di compagnia, dipendevano per il servizio dai governatori delle colonie e amministrativamente dalla Legione di Messina. 

La partecipazione al conflitto con unità inferiori al battaglione, condizione richiesta per ottenere ricompense alla bandiera, non consentì, comunque,al Corpo di ottenere le meritate concessioni. 

Nell’estate del ’35, in previsione del conflitto con l’Etiopia, fu costituito un battaglione di volontari addestrati presso la Scuola Allievi di Caserta che, al comando del tenente colonnello Enrico Palandri, partì il 19 ottobre per raggiungere l’Eritrea. Inizialmente il compito assegnato ai finanzieri fu di controllare le vie di comunicazione tra le unità al fronte e le basi logistiche. A dicembre i militari del Corpo furono aggregati ad altre unità dell’esercito, costituendo la riserva del III corpo d’armata. 

I finanzieri ebbero vari scontri durante la tappa di trasferimento verso Addis Abeba (Etiopia) ma alla fine vi entrarono vittoriosi il 5 luglio 1936,al seguito della colonna automontata del maresciallo Badoglio. Gli organici del battaglione trovarono subito impiegonei servizi di ordine pubblico, nella riapertura della dogana e nella sistemazione dei complessi logistici destinati a ospitare i propri reparti. 

Per gestire autonomamente i reparti coloniali, fu istituito un Comando Regia Guardia di Finanza dell’Africa Orientale Italiana, a livello di Legione, con sei comandi retti da ufficiali superiori costituiti presso i governatorati dell’impero. 

Dopo varie e complesse trattative, ostacolate dallo Stato Maggiore dell’Esercito per motivi di prestigio, poco prima dello scoppio della II Guerra Mondiale, fu autorizzata la costituzione dei battaglioni mobili della Guardia di Finanza con compiti di concorso alle operazioni belliche. Nello stesso tempo fu concesso un consistente aumento degli organici per il potenziamento dei servizi di polizia economica. In quel momento gli organici del Corpo contavano 31.420 unità, di cui 900 ufficiali. 

Il 10 giugno del 1940, a seguito della dichiarazione di guerra contro Francia e Gran Bretagna,fu diffuso il comunicato che prevedeva per i reparti mobilitati della Finanza il passaggio alle dipendenze dei comandi militari dell’esercito. Lo scoppio delle ostilità in Africa coinvolse per primi i reparti di finanzieri schierati lungo i confini dei possedimenti occupati. 

In Libia gli scontri del nemico si concentrarono ad Amseat, dove i militari del presidio furono tutti catturati, poi al cippo di Ras Agedir. In Etiopia furono, invece, assalite le tenenze di Metemmà e di Moyale. Nel territorio Eritreo i finanzieri dislocati a Tessenei s’impossessarono, di alcune posizioni presso il valico di Sabderat e parteciparono all’occupazione diCassala. Alcuni plotoni della guarnigione etiopica di Harar insieme con un nucleo di finanzieri giunti da Addis Abeba presero parte all’occupazione di territori appartenenti alla Somalia britannica. 

Gli scontri in Africa con le truppe franco-inglesi furono lunghi e cruenti. Dopo un’iniziale vittoria su tutti i fronti, seguì un graduale arretramento e la perdita dei più importanti capisaldi, la sconfitta a El Alamein nel 1942 e l’entrata in guerra dell’America (con l’afflusso di nuove truppe e mezzi), determinarono la supremazia degli Alleati e l’inevitabile sconfitta delle forze armate dell’Asse. 

I militari dell’esercito italiano sfuggiti alla morte e alla cattura abbandonarono il suolo africano per raggiungere la Sicilia. Tanti convogli, scortati anche dal naviglio della Regia Guardia di Finanza, raggiunsero l’obiettivo mentre altri furono affondati dalle navi nemiche che pattugliavano il Mediterraneo. In tale frangente non mancarono gli atti di valore come quello attuato dai dragamine R.D. “36” e “37”che, di scorta ad alcuni mercantili in rotta verso l’Isola, si frapposero tra questi e due cacciatorpediniere inglesi che avevano aperto il fuoco per affondare le imbarcazioni, nel tentativo di consentirne il defilamento. A nulla valse l’atto di valore del Tenente Di Bartolo (comandante dell’R.D. “36”) contro la potenza di fuoco delle navi militari inglesi che affondarono l’intero gruppo di natanti italiani. 

Il conflitto si spostò, quindi, sul nostro territorio, partendo dalla Sicilia. 

Fino alla determinazione finale dell’ONU sull’assetto politico-territoriale da assegnare alle ex colonie, nuclei di finanzieri continuarono a operarvi svolgendo prevalentemente compiti di polizia economica al fianco degli occupanti. In Somalia, in virtù dell’attribuzione del mandato di amministrazione fiduciaria all’Italia, fu inviato il Corpo italiano di sicurezza in Somalia (CISS). Un nucleo di finanzieri, al comando del capitano Augusto Laurentis, affiancò l’Amministrazione fiduciaria italiana della Somalia (AFIS) per svolgere i propri servizi d’istituto. L’esiguo numero di militari fu incrementato grazie all’addestramento e arruolamento di elementi indigeni. Alla cessazione del mandato nel luglio del 1960, con qualche contenuta eccezione, i finanzieri abbandonarono il territorio somalo. 

Per concludere ed evidenziare il valore e il sentimento che animava le truppe italiane, voglio riportare le parole del tenente Antonio Verde che, al seguito del 16° reggimento fanteria Lupi della Sila della divisione Savona, seguì i suoi uomini nel corso del conflitto svolto in Libia a partire dal settembre 1939 e, parlando dei suoi ricordi (riportati in un volume autobiografico), così scrive: «…perché colui che avrà la ventura di leggerli sappia in quali difficili condizioni ha combattuto in Libia il Soldato Italiano, che, obbediente alla voce del dovere e della disciplina, fu pronto ad immolarsi per l’onore militare, per la gloria della Bandiera e per la sua dignità di uomo e di italiano». 

Bibliografia e sitografia:

Confederazione fascista dei lavoratori dell’agricoltura, L’Etiopia, Roma, S.a. Arte della stampa, 1935

Verde Antonio, In Libia con i miei soldati, Salerno, “Author”, III ed. 1972

Teobaldo Filesi, Profilo storico-politico dell’Africa, Roma, Istituto italo-africano, 1974

Nicola Labanca, Storia dell’Italia coloniale, Milano, edizioni Fenice 2000, 1994

Editalia, La Guardia di Finanza dalle origini a oggi, Roma, ed. Editalia S.P.A., II ed. 2003

Pierpaolo Maccariello, Storia della Guardia di Finanza, Firenze, Le Monnier, 2003

Federica Saini Fasanotti, Libia 1922 - 1931 Le operazioni militari italiane, Roma, Stato Maggiore dell’Esercito - Ufficio Storico -, 2012.

Giuseppe Longo 2021, Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.) - Milizia Artiglieria Controaerei, Cefalunews, 30 marzo.

Giuseppe Longo 2021, Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.) - Milizia artiglieria marittima, Cefalunews, 8 aprile.


Giuseppe Longo 2021, Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.) - Le Coorti territoriali, Cefalunews, 13 aprile.


Giuseppe Longo 2021, La Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.), sintesi storica, Cefalunews, 1 maggio.

Giuseppe Longo 2021 - L’Africa Orientale Italiana e la Milizia Coloniale, Cefalunews, 21 giugno

Foto di copertina: Tripoli Sfilata Compagnia Finanzieri - Collezione. Michele Nigro

Fotografie: Collezioni private Alessandro Bellomo e Michele Nigro.

Si ringrazia per la cortese collaborazione il dott. Alessandro Bellomo.

Giuseppe Longo