Cefalunews, 12 luglio 2018
Nella notte tra 9 e il 10 luglio di 75 anni fa ebbe inizio lo sbarco anglo-americano in Sicilia. L’imponente intervento aero-navale, anticipato dal lancio di paracadutisti, chiamato in codice “Operazione Husky” segnò il primo passo per l’invasione della penisola italiana. Fu a Casablanca, in Marocco che si decise di attuare il piano per lo sbarco sulle coste siciliane, durante la segretissima Conferenza di Casablaca, chiamata in codice “Symbol” a cui parteciparono i Capi di Stato Maggiore Alleati. Tuttavia, prima del grande sbarco in Sicilia, gli inglesi, attraverso l’Operazione Corkscrew (un’azione militare preliminare che avrebbe dovuto occupare Pantelleria e l’arcipelago delle Pelagie per costituire una testa di ponte per la Sicilia) avevano iniziato sin dal maggio 1943 a bombardare le isole di Pantelleria e le isole Pelagie (Lampedusa, Linosa e Lampione).
I bombardamenti si erano poi intensificati maggiormente a partire dal giorno 8 giugno, soprattutto sull’isola di Pantelleria, rilevante centro di osservazione posto nel mezzo del Canale di Sicilia, colpendo l’importante aeroporto in località Margana. Il giorno 11 giugno l’isola di Pantelleria capitolò e la stessa sorte toccò a Lampedusa il giorno seguente. A seguire Linosa il 13, e Lampione il 14 giugno; a questo punto il Canale di Sicilia era interamente sotto il controllo anglo-americano. Lo sbarco Alleato avvenne la mattina del 10 luglio nella zona sud-orientale della Sicilia: nel Golfo di Gela e nel Golfo di Noto, e coinvolse rispettivamente la 7ª Armata statunitense al comando del generale George Smith Patton, e l’8ª Armata britannica comandata dal generale Bernard Law Montgomery, complessivamente circa 160.000 uomini.
La difesa dell’Isola era affidata alla 6ª Armata al comando del Generale Alfredo Guzzoni e comprendeva alla vigilia dell’invasione, circa 200.000 militari italiani e circa 30.000 soldati tedeschi. Gli inglesi occuparono velocemente Siracusa, ma furono arrestati il 18 luglio nei pressi di Catania, mentre gli statunitensi avanzando verso nord-ovest, conquistarono Palermo il 22 luglio; poi, i soldati a stelle e strisce, continuando lungo la costa settentrionale e muovendo verso la città di Messina, la occuparono il giorno 17 agosto.
Però sin dall’11 agosto il Generale
Hans Valentin Hube, inviato in Sicilia dal comando supremo tedesco e subentrato
al Generale Guzzoni, aveva dato disposizioni per l’evacuazione dell’Isola. In
realtà Hube, allestì un’efficace ed agile difesa e permise attraverso l’Operazione Lehrgang, lo spostamento in Calabria delle unità italo-tedesche e i relativi
rifornimenti, utilizzando ogni tipo di imbarcazione per attraversare lo Stretto
di Messina. L’Operazione Husky, una delle più importanti operazioni anfibie dell’intero conflitto per
la conquista della Sicilia e l’inizio della campagna d’Italia si concluse
pertanto con la resa di Messina il 17 agosto 1943, dopo 38 giorni di guerra.
Abbiamo
chiesto al ricercatore storico militare Donaldo Di Cristofalo (1) di parlaci in
che maniera la città di Termini Imerese fu coinvolta nell’Operazione Husky, e
che vide il 22 luglio la presa di Palermo (città, munita di un rilevante porto
per il controllo della costa settentrionale della Sicilia), per opera della 3rd
Infantry Division, e appunto Termini Imerese importante snodo viario e acqueo
verso l’entroterra, occupata dai soldati della 45ª Divisione americana, quel lontano
venerdì del 23 luglio 1943.
«Oggi, 12 luglio di 75 anni fa, quel 1943 in
piena Seconda Guerra Mondiale, per la nostra Città cominciavano quattro giorni
di bombardamenti e mitragliamenti aerei che avrebbero portato morte e
distruzione, proiettando una popolazione già impaurita e prostrata da
privazioni e sfollamenti a guardare in faccia il volto della guerra.
Una guerra che già da tempo aveva cominciato a coinvolgere anche la
popolazione civile, con bombardamenti non più mirati solo alla distruzione di
obiettivi strettamente militari, ma diretti anche sul tessuto urbano delle
città, nel tentativo di terrorizzare la gente e fare implodere il regime
fascista.
Si dibatte ancora su chi abbia cominciato questo tipo di guerra,
gli Inglesi o i Tedeschi, di fatto tutti i contendenti si adeguarono presto ad
una strategia del coinvolgimento totale delle nazioni belligeranti, una
distruzione indiscriminata che doveva accelerare la conclusione del conflitto,
chiunque fosse a vincerlo. Altrettanto dibattuto è il giudizio sull’utilità di
tale approccio ai risultati finali della guerra, fino all’utilizzo della bomba
atomica in Giappone. Di certo, all’impressionante numero di caduti nei campi di
battaglia, si aggiunse quello non minore di vittime civili inermi, per non dire
delle distruzioni che sconvolsero l’aspetto degli agglomerati urbani, in alcuni
casi ancora visibili dopo tre quarti di secolo.
Termini Imerese, con la sua posizione di snodo stradale,
ferroviario, portuale, non mancò di interessare i pianificatori della campagna
aerea Alleata, specie in vista della programmata invasione. Eppure, alla luce
di quello che accadde nel resto dell’Isola, delle vittime e delle distruzioni
operate nelle principali città siciliane, così come in centri minori, la nostra
Città subì offese minori, un numero di vittime statisticamente irrilevante, pur
nella drammaticità di ogni singola morte, di ogni singola distruzione.
Come non ricordare Palermo, il cui centro storico adiacente al
porto fu sostanzialmente raso al suolo. Il 9 maggio 1943 il capoluogo regionale
subisce un vero e proprio bombardamento a tappeto, con la morte di 373 persone,
il ferimento di oltre 400 ed estese distruzioni. I termitani vissero tale
nefasta giornata, osservando ed udendo le centinaia di aerei statunitensi che,
sorvolando la nostra città, si diressero su Palermo da una direzione inedita,
che colse di sorpresa le difese antiaeree.
Il successivo 11 maggio, un centro minore come Marsala, subì un
analogo bombardamento, ma i morti furono oltre mille, un macabro primato
nazionale nel rapporto tra abitanti e vittime.
A Termini Imerese il numero delle vittime, tra morti e feriti, non
è dato certo, con una fonte che lo fa ascendere a 36, con una decina di
abitazioni civili distrutte o fortemente danneggiate. Ripetutamente colpiti il
porto, le banchine, le attività industriali ivi presenti (Mormino), la stazione
ferroviaria e la strada nazionale.
In tutto è stato possibile ricostruire 8 incursioni aeree aventi
come obiettivo Termini Imerese, la prima il 14 giugno 1943, ad opera di
velivoli inglesi decollati da Malta, l’ultimo il 18 luglio 1943, da parte di
cacciabombardieri USA con base in nord Africa.
Tra lunedì 12 luglio e la notte sul 14, sulla Città si alternano
cacciabombardieri e bombardieri (B-25) americani che colpiscono un piccolo
convoglio navale, poi il porto, ed infine l’abitato. La distribuzione dei colpi
inferti è tale da ritenere che gli equipaggi mirassero ad obiettivi militari o
di importanza logistica (porto e stazione in primis), ma che la scarsa
accuratezza dei lanci abbia infine coinvolto edifici civili.
Il 23 luglio, con l’arrivo delle truppe statunitensi, Termini
Imerese esce dagli elenchi dei pianificatori Alleati come bersaglio. Potrebbe
diventarlo a parti invertite per Tedeschi ed Italiani, cosa che accade per
Palermo (limitatamente al porto), ma fortunatamente ciò non succede, se non per
un singolo siluramento di una nave da sbarco USA poco fuori dal porto, ad opera
di un aereo italiano. Ma questa è un’altra storia».
(1) Donaldo Di Cristofalo: Geologo, vive e lavora a Termini Imerese
(PA). Ha cominciato a volare con gli ultraleggeri per poi transitare in
Aviazione Generale, prendendo il “brevetto” di II grado all’Aero Club di
Palermo e mantenendolo in attività per cinque anni circa. Adesso si accontenta
di qualche sporadico volo in ULM, di divorare riviste e libri e di frequentare,
ovunque possibile, manifestazioni aeree. (www.vocidihangar.it).
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